Il Mulo e l’Alpino
Nuova produzione 2025
Ispirato a fatti realmente accaduti
“I l Mulo e l’Alpino” racconta la storia di Giuseppe Beghin, conosciuto come Bepi, un uomo comune di Bassano del Grappa costretto a vivere l’assurdità della guerra durante l’invasione italiana dell’Albania nel 1941. Contrario a combattere, Bepi è segnato da una pigrizia ideologica e un profondo timore per la morte. Invece di abbracciare l’ideologia fascista, si sente distante da un mondo che non comprende e che lo annoia. Quando viene inviato al fronte, le promesse di una guerra lampo si rivelano illusorie, e Bepi si trova a fare i conti con una realtà ben diversa.
Impedito dal combattimento attivo a causa della sua incapacità nel maneggiare le armi, viene assegnato al compito di conducente di un mulo alpino, che ribattezza Grappa, come la sua amata montagna. La guerra lo priva dei pochi amici rimasti e, sopraffatto dalla paura, Bepi diserta e trova conforto tra le braccia di Doruntina, una donna conosciuta durante un permesso. In questa strana alcova d’amore, lontana dalla guerra, si costruiscono una vita fugace, ma la storia bussa presto alla loro porta, costringendolo a confrontarsi con il suo destino.
Contesto Storico
L’Invasione Italiana dei Balcani 1941 Il contesto storico di “Il Mulo e l’Alpino” si colloca nel periodo tumultuoso della Seconda Guerra Mondiale, con particolare focus sulla guerra tra Italia e Grecia combattuta sui monti dell’Albania. Sotto la guida di Benito Mussolini, l’Italia avviò questa operazione con l’intento di espandere il suo dominio nei Balcani, per consolidare il potere e ottenere risorse strategiche in vista di un conflitto che si stava intensificando in Europa. Mussolini, fiducioso di una rapida vittoria, proclamò che la guerra sarebbe stata “lampo e indolore”. Tuttavia, la realtà si rivelò ben diversa. La campagna contro la Grecia, che si sarebbe dovuta concludere rapidamente, si trasformò in un conflitto prolungato e dispendioso. Gli italiani si trovarono a dover affrontare non solo un nemico ben preparato, ma anche le dure condizioni invernali, che complicarono ulteriormente le operazioni militari.
L’invasione italiana della Grecia attraverso l’Albania non fu un evento isolato, ma si inserì in un contesto più ampio di conflitto e resistenza. La resistenza greca si rivelò un ostacolo significativo, portando l’Italia a chiedere l’intervento della Germania nazista. Questo cambiò drasticamente le dinamiche del conflitto. La guerra si trasformò in una guerra di logoramento, in cui i soldati italiani, tra cui Bepi, si trovarono spesso privi di risorse e demoralizzati. Le linee del fronte divennero instabili, e le perdite umane si moltiplicarono.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la situazione in Albania divenne ancora più complessa. Molti soldati italiani, tra cui coloro che erano rimasti bloccati in Albania, si trovarono di fronte a nuove scelte. Alcuni si arresero, altri passarono nelle file tedesche, mentre altri ancora si unirono ai partigiani albanesi. La paura della vendetta e della repressione da parte dei nuovi occupanti comunisti, guidati da Enver Hoxha, portò a un aumento dell’insicurezza tra gli italiani.
L’occupazione comunista dell’Albania dopo la guerra comportò l’implementazione di una politica di chiusura verso il mondo esterno, portando a un isolamento che sarebbe durato fino agli anni ’90. Questo contesto storico, caratterizzato da disillusione e lutti, è fondamentale per comprendere le esperienze dei soldati e dei civili coinvolti.
Il personaggio di Bepi incarna la figura di molti soldati italiani che, nel contesto della guerra, affrontavano conflitti interiori. Non tutti erano convinti sostenitori del regime fascista; molti si sentivano intrappolati in una guerra che non comprendevano e che li costringeva a combattere. La pigrizia ideologica di Bepi rappresenta un atteggiamento diffuso tra coloro che non riuscivano a identificarsi con l’ideologia fascista, ma che si trovavano comunque coinvolti nel conflitto. La storia di Bepi diventa, quindi, una riflessione sulla diserzione, sulla paura e sulla ricerca di un’identità in un periodo di caos.
NOTE DI REGIA
“Il Mulo e l’Alpino” non si limita a raccontare la storia personale di Giuseppe Beghin e del suo mulo Grappa; si fa portavoce di un capitolo significativo della storia italiana e albanese durante la Seconda Guerra Mondiale. Attraverso la narrazione di esperienze di paura, diserzione e ricerca di identità, lo spettacolo offre uno spaccato autentico delle vite di coloro che, come Bepi, si trovano intrappolati tra il dovere e il desiderio di libertà.
Questo racconto invita a riflettere su tematiche universali come la guerra, la vulnerabilità umana e le conseguenze dei conflitti. La sua importanza sociale risiede nella capacità di evocare emozioni e far emergere questioni di memoria e giustizia storica, stimolando il pubblico a confrontarsi con il proprio passato e le proprie radici.
In un contesto contemporaneo caratterizzato da conflitti e crisi migratorie, “Il Mulo e l’Alpino” si pone come un importante strumento di dialogo e riflessione. La storia di Bepi, quindi, diventa simbolo di tutte le vite umane segnate dalla guerra e dalla ricerca di un futuro migliore, rendendo questo spettacolo non solo un’opera artistica, ma anche un messaggio di speranza e umanità.
NOTE DELL’AUTORE
Giuseppe Beghin, noto come Bepi, di andare in guerra non ne aveva proprio voglia. Per una lunga serie di ragioni di cui ne riusciva a mettere fuoco principalmente tre. La prima, radicata in profondità nel suo animo, in quella parte dell’io in cui si annidano e in cui macerano le incertezze, era che di fatto era un uomo pigro. Ma affetto da una pigrizia strana, ideologica. Per esempio: non gli pesava il lavoro fisico, l’attività di arare i campi, o andare sulla “Grapa” a prendere i formaggi dal malgaro per il paese, ma se si trattava di ascoltare un discorso del Duce, o ripetere le formule dei Balilla, non c’era verso di interessarlo. Si annoiava a morte. Non era mai stato un grande fascista: più per pigrizia e assenza d’entusiasmo che per trasporto di giustizia. A lui le parole lo lasciavano un po’ indifferente. Parlare a Bepi di idee era come cercare di scalfire una montagna a sassate. La seconda ragione era che l’idea di morire non gli andava proprio giù. La terza, e quella che al momento lo tormentava, è che stava cercando un modo per riprendersi la sua Lucia.
Viene, quindi, mandato controvoglia al fronte, con la promessa di una guerra lampo e invece nulla: la guerra si protrae a lungo. Bepi a sparare è un totale incapace, per questo viene preso in giro dai compagni e si ritrova costretto a fare il “conducente” di uno scorbutico mulo alpino che lui ribattezza Grapa, come la sua montagna. Bepi ha pochi amici e quelli che ha cadono, uno a uno, in battaglia. Ma la guerra gli porta via tutto e preso dalla follia di una paura che lo travolge Bepi scappa con Grapa tra le braccia di una puttana che aveva conosciuto il primo giorno di permesso a Pogradec: Doruntina. E lì, nell’assurda campagna albanese, lontano da tutto, si lascia cullare in una specie di veglia magica. Il disertore, la puttana e il mulo costruiscono la loro alcova di amore infelice. Bepi e Doruntina si amano dell’amore che credono di meritarsi e si godono quel poco di bello che il destino ha loro donato, mentre Grapa raglia su pascoli che non gli appartengono. Finché alla porta non bussa il pugno pesante della storia e Bepi viene reclamato dalla gloriosa rivoluzione proletaria.
Ma questa non è una storia né di eroi e né di santi. Non è una storia di uomini straordinari, e di donne eroiche. E’ una storia di guerra che si è svolta in Albania. Una storia di guerra accaduta in parti del mondo le cui campagne scricchiolano ancora delle ossa tumefatte dei morti, in cui i rami degli alberi possiedono la memoria del peso di un cadavere di un adolescente appeso; sono storie tristi. Le montagne portano le cicatrici solcate dalla paura degli uomini, una terra che, se si ascolta, sussurra in preghiera le parole di coraggio proferite di notte dai soldati morenti perforati dai proiettili mentre le budella uscivano dal corpo con la stessa facilità delle lacrime. Non è una storia di donne incredibili. Combattenti nate. Questa è la storia di un disertore. Un uomo spaventato. Guidato dalla paura e non dal coraggio. Spinto lungo la traiettoria della vita da una forza incontrollabile, come la gravità, o le leggi della termodinamica. La legge della sopravvivenza. La storia di un uomo terrorizzato. Un umano come tanti. Umano come noi. La sua storia e quella del suo mulo: il Grappa.
di Aleksandros Memetaj e Yoris Petrillo
Testo Xhuliano Dule e Aleksandros Memetaj
con Aleksandros Memetaj
scene: Federico Biancalani
produzione Anonima Teatri / Twain Centro Produzione Danza
con il sostegno del Mic – Ministero della Cultura e Regione Lazio
in residenza presso Spazio Fani e Supercinema – Tuscania
debutto primo studio – Festival Dramma Popolare 2025 – San Miniato
durata 60’