Volevo un gatto nero
La piéce racconta di un mondo dominato principalmente da rapporti autentici, all’interno del quale l’intelligenza e la personalità si sviluppano attraverso una serena organizzazione dei contrasti, ovvero quelle nette opposizioni tra i due estremi, grande e piccolo, freddo e caldo, dolce e amaro.
“Volevo un gatto nero” vuole essere un tributo al mondo delle bambine,
un mondo affascinante che esalta una forza potentissima, costituita da istinti,
da una creatività passionale ma soprattutto da un sapere ancestrale.
Con il passare del tempo questo piccolo mondo viene soffocato, domato, addirittura annullato da una società egoista e poco attenta al valore umano, concentrata principalmente a incanalare gli individui in stereotipi. Ecco la prima violazione di quel tesoro inestimabile che è l’animo infantile, dove i cicli naturali dello sviluppo vengono costretti e piegati ad un processo innaturale il cui unico fine è quello di compiacere gli altri. La bambina-donna diviene proprietà costretta ad essere tutto per tutti, costantemente travolta da una confusione di attività.
La piéce segue un percorso a stazioni, come le scene di un dramma programmatico dagli sviluppi più dimostrativi che narrativi. Le scene si snodano intorno a figure colte in delicati e intimi momenti di passaggio evolutivo, bambine che diventano nel corso della storia donne.
Gorda e Flaca, le due piccole abitanti di questo universo caramelloso e inquietante, sono individui che si forzano invano di piegare la realtà al proprio modo di vedere e perciò destinate alla sconfitta. Quando dal quel mondo si rivela il Maestro d’Armi, figura guida capace di condurle attraverso il viaggio iniziatico, le piccole discepole risvegliano il proprio corpo guerriero, tappa essenziale dell’apprendistato evolutivo dell’identità.
Durante il viaggio le due prenderanno strade diverse ma pur sempre parallele. Intanto in una nicchia, una disarmonica creatura piantata nella terra, incarnazione di tutte quelle martiri di violenze fisiche e psicologiche, dalla Lavinia shakespeariana alla Winnie di Beckett, fa da contrappunto a tutta la piéce con la sua infelicità innominabile perché al di fuori della storia umana raccontabile. Alla fine tutti i personaggi tenteranno di integrarsi in una polifonia nel cui spartito sopravvive il loro mondo interiore, unica carica della speranza per il raggiungimento di una felicità innominabile e non senza tortura, di una felicità clandestina.
Regia, Coreografia e Drammaturgia Loredana Parrella
Disegno luci Roel Van Berckelaer
Costumi Roel Van Berckelaer – Loredana Parrella
Musiche Originali Marco Giannoni
Video Elena Fedeli
Distribuzione Yoris Petrillo
Organizzazione Lune Fè Magrini
Interpreti Anna Basti, Enza Carrozzino, Vittoria Maniglio, Valentina Calandriello
Durata 60 minuti
Produzione AcT
In residenza presso SpazioCTw_centrocoreograficopermanente